Indice articoli

  1. Il patto di famiglia
  2. I legittimari e la successione necessaria
  3. Gli eredi necessari e la parte disponibile
  4. Il divieto dei patti successori
  5. Contenuto e oggetto del patto di famiglia
  6. La forma del patto di famiglia
  7. I partecipanti al patto di famiglia
  8. La liquidazione dei legittimari
  9. Le tasse sul patto di famiglia

Il patto di famiglia

Il patto di famiglia è un contratto con il quale l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari (eredi necessari) se la successione si aprisse in quel momento. Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie deve liquidare gli altri legittimari pagando loro una somma corrispondente alla quota di eredità che gli spetterebbe, a meno che questi vi rinunzino in tutto o in parte.

 

IMPRENDITORE

       
AZIENDA        
?        
FIGLIO ASSEGNATARIO ? DENARO ? ALTRI FIGLI

 

Il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie ha effetto immediato e definitivo, quindi non può più essere messo in discussione neanche dopo la morte del disponente, salvo alcune eccezioni espressamente indicate dalla legge. L'azienda o le partecipazioni societarie oggetto del patto di famiglia non rientrano nella successione al momento della morte del disponente, e non è ammessa l'azione di riduzione nei confronti del trasferimento, che pertanto deve intendersi come definitivo.
Fino a ieri un accordo del genere sarebbe stato impossibile, perché considerato espressamente nullo dalla legge. Il patto di famiglia rappresenta dunque un'importante eccezione al divieto dei patti successori tradizionalmente previsto dalla nostra legislazione.

I legittimari e la successione necessaria

Per comprendere la portata del cambiamento introdotto nel nostro sistema giuridico con le norme sul patto di famiglia, è opportuno ricordare alcuni aspetti della disciplina dettata dal codice civile sulle successioni e le donazioni.
Alla morte di una persona, l'intero patrimonio del defunto passa agli eredi. Se non c'è un testamento, è la legge che stabilisce chi sono gli eredi e in quale misura essi si dividono l'eredità.
Ma anche chi fa testamento non è sempre libero di decidere a chi andrà il proprio patrimonio dopo la morte. Ci sono infatti alcuni soggetti che devono necessariamente ricevere una quota dell'eredità, anche contro la volontà del defunto. Questi soggetti sono chiamati legittimari, o anche eredi necessari, proprio perché hanno diritto a ricevere sempre una quota dell'eredità (artt. 536 e seguenti del codice civile). Essi sono il coniuge del defunto, i suoi figli e, in mancanza di figli, anche i genitori. La quota di eredità riservata ai legittimari varia in base al loro numero. Per esempio, se il defunto lascia il coniuge e un figlio, ciascuno di loro ha diritto ad almeno un terzo dell'eredità; se invece il defunto lascia il coniuge e due figli, ciascuno ha diritto a un quarto dell'eredità.
La parte dell'eredità che non è riservata ai legittimari, e di cui pertanto il testatore può disporre liberamente, è chiamata quota disponibile.
E' chiaro, dunque, che chi vuole fare testamento, se è sposato o ha dei figli, è soggetto a molte limitazioni, e può disporre liberamente solo di una piccola parte del proprio patrimonio. Le disposizioni testamentarie che eccedono la quota disponibile possono infatti essere impugnate dai legittimari attraverso l'esercizio dell'azione di riduzione, che fa rientrare nel patrimonio ereditario i beni che ne sono oggetto (art. 554 del codice civile).

Gli eredi necessari e la parte disponibile

Eredi necessari Quote di eredità riservate e disponibili
Coniuge

(in mancanza di figli e genitori)

1/2 al coniuge

1/2 disponibile come da testamento

Un solo figlio

(in mancanza del coniuge)

1/2 al figlio
1/2 disponibile come da testamento

Due o più figli

(in mancanza del coniuge)

2/3 ai figli (divisa in parti uguali)
1/3 disponibile come da testamento

Coniuge e un solo figlio

1/3 al coniuge
1/3 al figlio
1/3 disponibile come da testamento

Coniuge e due o più figli

1/4 al coniuge
1/2 ai figli (divisa in parti uguali)
1/4 disponibile come da testamento

Coniuge e genitori
(in mancanza di figli)

1/2 al coniuge
1/4 ai genitori (divisa in parti uguali)
1/4 disponibile come da testamento

Genitori
(in mancanza di figli e coniuge)

1/3 (divisa in parti uguali)
2/3 disponibile come da testamento

Quando c'è un testamento, la legge riserva una quota di eredità solo al coniuge e ai figli (se il defunto non aveva figli è riservata una quota anche ai genitori ancora viventi), quindi se il testamento è valido gli altri parenti non possono avanzare pretese

 

Per evitare che qualcuno possa eludere i diritti dei legittimari donando in tutto o in parte i propri beni mentre è ancora in vita, la legge prevede la possibilità di esercitare l'azione di riduzione anche contro le donazioni, dopo la morte del donante (art. 555 del codice civile). Per stabilire ciò che spetta ai legittimari, infatti, il patrimonio esistente al momento della morte (relictum) si somma alle donazioni effettuate in vita dal defunto (donatum). Le quote di legittima si calcolano sulla somma complessiva (relictum + donatum), e se il patrimonio residuo non è sufficiente a soddisfare i diritti dei legittimari, questi possono chiedere la riduzione delle disposizioni testamentarie e poi anche delle donazioni, iniziando da quelle più recenti. In conseguenza dell'azione di riduzione, i beni oggetto delle donazioni devono essere restituiti, in tutto o in parte, ai legittimari, non solo da chi ha ricevuto la donazione ma anche dai successivi acquirenti. E' per questo che le donazioni possono essere considerate definitive solo dieci anni dopo la morte del donante, e da ciò derivano una serie di problemi nella circolazione dei beni che sono stati oggetto di donazione. Solo recentemente la legge ha introdotto un limite di vent'anni dalla donazione, trascorso il quale sono definitivamente fatti salvi i diritti dei terzi acquirenti dei beni oggetto di donazione, e restano ferme le ipoteche iscritte sugli stessi (d.l. 35/2005). Rimane dunque la possibilità di impugnare la donazione, e rimane il divieto dei patti successori, che vietano la rinuncia preventiva all'impugnazione, ma i terzi che acquistano l'immobile o iscrivono l'ipoteca possono stare tranquilli quando sono passati vent'anni dalla donazione. Dopo vent'anni, infatti, gli eredi legittimi possono rivolgersi solo a chi aveva ricevuto la donazione, che deve risarcirli in denaro. Un termine slegato dalla morte del donante è senz'altro un passo avanti, ma vent'anni sono davvero tanti. I vent'anni, inoltre, possono essere prorogati con un atto di opposizione alla donazione da parte del coniuge o dei parenti in linea retta del donante, che in questo modo si riservano di agire contro tutti i successivi acquirenti dei beni donati anche dopo il ventennio. Questo atto di opposizione deve essere notificato al donante e trascritto nei registri immobiliari, e deve essere rinnovato ogni vent'anni. Gli aventi diritto possono rinunciare all'opposizione, ma questa rinuncia impedisce di prolungare il termine oltre i vent'anni, ma non può mai consentire di ridurlo al di sotto di tale durata minima.

Il divieto dei patti successori

La tutela dei diritti dei legittimari è completata dalla norma che vieta ai legittimari di rinunciare all'azione di riduzione prima della morte del donante (art. 557, secondo comma, del codice civile), e soprattutto dal divieto dei patti successori (art. 458 del codice civile).
I patti successori sono tassativamente vietati dalla legge italiana, a differenza di quanto avviene negli altri Stati europei. Per patto successorio si intende qualsiasi tipo di accordo con cui qualcuno dispone della propria successione, oppure dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o vi rinuncia. Non è possibile, dunque, stipulare un contratto per regolare una successione prima della morte dell'interessato. Questo divieto sembra andare contro il buon senso, ed è di difficile comprensione. Va bene tutelare i legittimari, ma perché impedire di raggiungere un accordo con il consenso di tutti? Purtroppo il divieto dei patti successori non è stato abrogato, ma il patto di famiglia rappresenta ora un'importante eccezione, che riconosce l'autonomia contrattuale delle parti almeno in presenza di un'azienda o di partecipazioni societarie.
Il patto di famiglia rappresenta un'importante eccezione al divieto dei patti successori, eccezione che viene espressamente prevista dal nuovo testo dell'art. 458 del codice civile. Il divieto rimane in vigore, come regola generale, ma sono ammessi, in deroga, i patti di famiglia, che rientrano pienamente nella definizione di patti successori, non tanto per quanto riguarda il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie, che ha effetto immediato e non dall'apertura della successione, e quindi è assimilabile più che altro a una donazione, ma per la liquidazione della quota spettante ai legittimari, o la rinunzia alla stessa.
Essendo rimasta in vigore la norma che vieta i patti successori, dobbiamo muoverci con cautela nell'applicazione pratica del patto di famiglia, perché se ne superiamo i confini ricadiamo inevitabilmente in un patto successorio nullo. Un'applicazione disinvolta del nuovo istituto, dunque, può facilmente portare alla nullità degli accordi presi.

Contenuto e oggetto del patto di famiglia

Il patto di famiglia è un contratto con il quale l'imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l'azienda, e il titolare di partecipazioni societarie le trasferisce, in tutto o in parte, a uno o più discendenti, con il consenso del coniuge e di tutti quelli che sarebbero legittimari (eredi necessari) se la successione si aprisse in quel momento (art. 768-bis del codice civile).
Oggetto del patto di famiglia può dunque essere un'azienda, di qualsiasi genere (commerciale, industriale, artigianale ma anche agricola), oppure partecipazioni in una società di qualsiasi tipo, che vengono trasferite in tutto o in parte ai discendenti del titolare.
Nelle norme che disciplinano il patto di famiglia, il legislatore usa la parola "imprenditore" per indicare il soggetto che dispone dell'azienda o delle partecipazioni societarie trasferendole ai discendenti. Il termine, in realtà, è tecnicamente esatto solo nel caso dell'azienda gestita dal proprietario nella forma di impresa individuale, mentre risulta usato in senso atecnico se riferito al titolare delle partecipazioni societarie. Non si può dubitare che il legislatore, parlando di imprenditore, intendesse riferirsi anche a chi gestisce l'impresa in forma societaria, da solo o con altri soci. Suscita però molti dubbi la possibilità di utilizzare il patto di famiglia anche per trasferire una partecipazione sociale di minoranza, che non consente in alcun modo di incidere sulla gestione della società ma rappresenta solo una forma di investimento finanziario. Sarebbe sicuramente contrario alla legge un patto di famiglia con il quale viene trasferita una piccola percentuale di partecipazioni in una società quotata in Borsa, acquistata dal disponente solo a titolo di investimento. In tal caso, infatti, il disponente non potrebbe certo essere definito, neppure impropriamente, come imprenditore. Nelle piccole e medie imprese il patto di famiglia non si ritiene applicabile a una quota di partecipazione che non può essere considerata "di maggioranza" o quantomeno "di riferimento". E' stato fatto notare, però, che evitare la polverizzazione di una quota, anche modesta, della società potrebbe essere vantaggioso per il futuro dell'impresa. Rimane controversa anche la possibilità di applicare il patto alle partecipazioni in una società di comodo, creata appositamente in vista del patto di famiglia. La questione, insomma, rimane aperta e dovrà essere maggiormente approfondita dagli interpreti.
Per quanto riguarda il tipo di società le cui partecipazioni possono essere oggetto del patto di famiglia, sicuramente può trattarsi di una società di persone (società semplice, società in nome collettivo o società in accomandita semplice), di una società a responsabilità limitata oppure di una società per azioni (o in accomandita per azioni). L'uso del termine "quote" da parte del legislatore deve intendersi come un'imprecisione di linguaggio, dato che non ci sarebbe alcuna ragione di escludere dal patto di famiglia le azioni di s.p.a.. Molti dubbi sono stati però avanzati in riferimento alla quota del socio accomandante di s.a.s., che non può incidere sulla gestione della società.
In ogni caso il trasferimento delle partecipazioni societarie, anche nell'ambito del patto di famiglia, deve avvenire nel rispetto delle modalità e dei limiti previsti dalla legge, dai patti sociali o dallo statuto per le differenti tipologie di società. Nelle società di persone, dunque, è normalmente necessario l'intervento di tutti i soci, che devono prestare il consenso al trasferimento della quota sociale. Nelle società di capitali, invece, potrà essere necessaria la preventiva rinuncia al diritto di prelazione da parte degli altri soci, oppure il gradimento degli stessi o di un organo sociale, ove previsto dallo statuto vigente. Se l'azienda trasferita è gestita nella forma di impresa familiare, sono fatti salvi i diritti dei familiari partecipanti all'impresa relativamente agli utili e agli incrementi dell'azienda (art. 230-bis del codice civile), che devono essere liquidati direttamente dall'imprenditore e non vanno confusi con la liquidazione a essi eventualmente spettante nell'ambito del patto di famiglia, se essi sono anche legittimari. Non opera, invece, il diritto di prelazione previsto a favore dei familiari partecipanti all'impresa, trattandosi di trasferimento a titolo gratuito, se non di una vera e propria donazione. Le opinioni contrarie appaiono prive di fondamento.
Per espressa previsione legislativa, il trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie può essere anche parziale, e ciò sembra consentire al disponente di attuare un trasferimento progressivo e dilazionato nel tempo. Nell'azienda il trasferimento parziale può riguardare un ramo di azienda oppure una quota di comproprietà. In questo caso dovrebbe essere costituita una società tra il disponente e i discendenti beneficiari dell'assegnazione, a meno che si voglia ipotizzare un contestuale affitto di una quota dell'azienda, che continuerebbe così a essere gestita in forma individuale, dallo stesso disponente o dal discendente assegnatario. Nel caso delle partecipazioni societarie, invece, il loro trasferimento parziale non crea problemi, e anzi può essere opportuno al fine di realizzare un graduale passaggio generazionale dell'impresa, a meno che si voglia ritenere, anche in questo caso, inapplicabile il patto di famiglia a una quota di partecipazione che non possa essere considerata "di maggioranza" o "di riferimento". Una simile interpretazione, però, andrebbe chiaramente contro la volontà del legislatore, che ha espressamente previsto la possibilità di un trasferimento parziale, e quindi dilazionato nel tempo.
L'aver ammesso, come oggetto del patto di famiglia, solo l'azienda e le partecipazioni societarie rappresenta naturalmente una grossa limitazione alla possibilità di raggiungere un accordo anticipato su una futura successione. Nell'ambito del dibattito che ha preceduto e accompagnato l'approvazione della nuova legge, era stata prospettata anche la possibilità di estendere il patto di famiglia ai beni immobili o ad altri beni compresi nel patrimonio del defunto, ma il legislatore ha intenzionalmente voluto privilegiare le esigenze di continuità dell'impresa, mantenendo invece l'assoluta rigidità del sistema per tutte le altre ipotesi. Niente da fare, dunque, per chi non ha nel proprio patrimonio aziende o partecipazioni societarie, e anche per gli imprenditori non c'è comunque la possibilità di trasferire con il patto di famiglia beni di altro genere (mobili o immobili) eventualmente compresi nel proprio patrimonio. Per i beni che rimangono nel patrimonio del disponente, dunque, si aprirà a suo tempo la successione secondo le regole ordinarie.

La forma del patto di famiglia

Per espressa disposizione di legge, il patto di famiglia deve essere stipulato nella forma di atto pubblico (art. 768-ter del codice civile). L'intervento del notaio, dunque, è sempre necessario, anzitutto per la natura dei beni oggetto del patto (azienda o partecipazioni societarie), il cui trasferimento richiede un controllo imparziale a garanzia dei terzi, ma soprattutto perché occorre verificare che ciascuno dei partecipanti sia pienamente consapevole delle conseguenze del contratto che sta firmando. Proprio per questo il legislatore non ha ritenuto sufficiente neppure la scrittura privata autenticata dal notaio, abitualmente utilizzata per il trasferimento delle aziende e delle partecipazioni societarie, ma ha richiesto la forma più solenne dell'atto pubblico.
La legge non prevede la presenza di due testimoni, che però è sicuramente opportuna e probabilmente sarà sempre richiesta dal notaio, considerata la natura essenzialmente donativa del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni societarie.

I partecipanti al patto di famiglia

Al patto di famiglia devono partecipare, ovviamente, il disponente e i discendenti ai quali viene trasferita l'azienda o le partecipazioni societarie.

La legge, inoltre, prevede espressamente la necessità che vi prendano parte il coniuge del disponente e tutti quelli che sarebbero legittimari se nel momento della stipula del patto di famiglia si aprisse la sua successione (art. 768-quater, primo comma, del codice civile). Ciò significa che il patto di famiglia può essere stipulato solo se il disponente raggiunge un accordo con tutti i legittimari circa il trasferimento dell'azienda (o delle partecipazioni societarie) e la liquidazione delle altre quote, in denaro o in natura. In mancanza di accordo unanime, il patto di famiglia non può essere stipulato, quindi questo strumento non può mai essere utilizzato per privare i legittimari dei diritti riconosciuti dalla legge, senza il loro consenso. Il patto di famiglia, d'altronde, non è certo inteso come un mezzo per "diseredare" i legittimari, neppure parzialmente. La deroga al divieto dei patti successori introdotta nel nostro ordinamento deve intendersi come uno strumento eccezionale, che può essere utilizzato solo con l'accordo di tutti gli interessati. Un patto di famiglia stipulato senza la partecipazione di tutti i legittimari sarebbe irrimediabilmente nullo e improduttivo di qualsiasi effetto. L'ipotesi, avanzata da alcuni interpreti, di "convocare" i legittimari per la stipula del patto e poi procedere anche in assenza di alcuni di loro appare del tutto fantasiosa e priva di qualsiasi riscontro nella legge. Anche in questo caso il patto sarebbe nullo.
Normalmente i partecipanti al patto di famiglia saranno il disponente, il coniuge e i figli. Si può anche ipotizzare che in alcuni casi il disponente intenda trasferire l'azienda o le partecipazioni societarie direttamente a un nipote (figlio del figlio), saltando così una generazione, naturalmente con l'accordo dei figli. La legge non prevede la partecipazione al patto di famiglia dei genitori (o ascendenti) del disponente, dato che questi sono legittimari solo in assenza di discendenti, e la presenza di discendenti è sempre essenziale per la stipula del patto di famiglia.

La liquidazione dei legittimari

Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie deve liquidare gli altri legittimari pagando loro una somma corrispondente alla quota di eredità che gli spetterebbe sull'azienda o sullepartecipazioni societarie, a meno che questi vi rinunzino in tutto o in parte (art. 768-quater, secondo comma, del codice civile).
Questa liquidazione avviene a titolo gratuito, cioè senza corrispettivo. Naturalmente l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie non ha intenzione di beneficiare i legittimari, ma adempie a un preciso obbligo assunto nei confronti del disponente in conformità alla legge.
La liquidazione viene dunque assimilata a un onere apposto dal disponente alla donazione dell'azienda o delle partecipazioni societarie, e come tale può essere considerata una donazione indiretta effettuata dal disponente al legittimario.
La liquidazione dei legittimari avviene in base al valore dell'azienda o delle partecipazioni societarie al momento della stipula del patto di famiglia, determinato di comune accordo dai partecipanti, che rimane così definitivamente fissato. La legge non prevede regole particolari per la determinazione di tale valore, che pertanto può essere liberamente individuato dalle parti.
L'espressa previsione di una possibilità di rinunciare in tutto o in parte alla liquidazione conferma l'assoluta libertà dei partecipanti nel fissare il valore su cui essa si basa. Per evitare, però, la possibilità che il patto di famiglia sia impugnato da parte di chi non conosceva il reale valore dell'azienda o delle partecipazioni societarie, potrebbe essere opportuno far redigere una perizia di stima.
La liquidazione può avvenire in denaro oppure, in tutto o in parte, anche in natura, cioè con il trasferimento di beni di qualsiasi genere. In questo caso i beni assegnati ai legittimari che partecipano al patto di famiglia sono imputati alle loro quote di legittima secondo il valore che viene ad essi attribuito nel contratto.
Il trasferimento dei beni ai legittimari può avvenire anche con un contratto successivo, che sia espressamente dichiarato collegato al primo, con l'intervento degli stessi soggetti o di quelli che li hanno sostituiti. E' quindi possibile rinviare la liquidazione dei legittimari a un atto successivo, inserendo nel patto di famiglia un semplice impegno a provvedere in tal senso.
E' prevista espressamente la possibilità che i legittimari rinunzino in tutto o in parte alla liquidazione della loro quota di legittima. In questo caso nulla è dovuto da chi ha ricevuto l'azienda o le partecipazioni societarie, e i legittimari, al momento della morte del disponente, parteciperanno alla successione solo sugli altri beni eventualmente rimasti nel suo patrimonio.
La liquidazione ai legittimari rappresenta probabilmente l'aspetto più problematico nell'ambito della disciplina del patto di famiglia, a causa dell'impostazione scelta dal legislatore, e ha già suscitato contrasti tra gli interpreti.
La scelta più logica, quella che ci indicherebbe il buon senso, sarebbe stata quella di consentire al disponente di liquidare direttamente i legittimari, nell'ambito del patto di famiglia, assegnandogli una somma di denaro oppure beni in natura. Per esempio, l'imprenditore avrebbe potuto assegnare l'azienda a un figlio e un immobile di pari valore all'altro figlio. Solo nel caso in cui il valore dell'azienda fosse stato notevolmente superiore a quello degli altri beni presenti nel patrimonio del disponente, avrebbe potuto essere prevista la liquidazione da parte di chi ha ricevuto l'azienda. Il legislatore, invece, ha previsto come unica possibilità la liquidazione dei legittimari da parte dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie. Una scelta anomala, perché va contro la normale volontà dei genitori di provvedere direttamente alla divisione del patrimonio tra i figli. Una scelta che si spiega solo con la precisa volontà di limitare il patto di famiglia alla sola azienda o alle partecipazioni societarie, ed escludere tassativamente la possibilità di utilizzarlo per trasferire beni di altro genere, in particolare gli immobili. Una scelta discutibile, che possiamo criticare ma che non possiamo ignorare, neppure proponendo interpretazioni che, per quanto appetibili da un punto di vista pratico, non sembrano compatibili né con la lettera della legge né con il suo spirito.
Purtroppo dobbiamo accettare il fatto che, nell'ambito del patto di famiglia, l'imprenditore può trasferire l'azienda a uno dei figli, ma non può compensare gli altri assegnando loro altri beni. A maggior ragione la liquidazione degli altri legittimari non può avvenire da parte di un terzo (per esempio il coniuge del disponente). La liquidazione degli altri legittimari deve venire solo da chi ha ricevuto l'azienda o le partecipazioni sociali.
Il primo problema che si può presentare è dunque il reperimento della liquidità necessaria, o dei beni da trasferire ai legittimari. Se possiamo presumere che l'imprenditore giunto all'età della pensione abbia altri beni, oltre all'azienda, nel proprio patrimonio, non altrettanto si può ipotizzare per il figlio che sta iniziando adesso l'attività. Sarà dunque inevitabile, nella maggior parte dei casi, il ricorso al credito bancario. Chi riceve l'azienda o le partecipazioni societarie potrà stipulare un mutuo per finanziare la liquidazione degli altri legittimari, offrendo presumibilmente in garanzia l'azienda stessa o le partecipazioni societarie.

 

       

IMPRENDITORE

       
        AZIENDA        
        ?        
BANCA ? MUTUO ? FIGLIO ASSEGNATARIO ? DENARO ? ALTRI FIGLI

 

Se invece l'imprenditore vuole compensare direttamente gli altri legittimari, versando loro una somma di denaro o trasferendogli altri beni, occorre affiancare al patto di famiglia una o più donazioni, che possono anche essere contestuali ma rimangono necessariamente al di fuori di esso. A queste donazioni, dunque, non si può applicare la disciplina di favore prevista per i trasferimenti disposti nell'ambito del patto di famiglia. Si tratterà dunque di donazioni esposte all'azione di riduzione e alla collazione (oltre i limiti nei quali è ammessa una dispensa). Sarà comunque possibile combinare gli effetti delle donazioni e del patto di famiglia, con eventuale rinuncia alla liquidazione da parte dei legittimari già beneficiati, in modo di avvicinarsi al risultato voluto. In questo modo si potrà anche tenere conto dei beni eventualmente già trasferiti dall'imprenditore ad alcuni figli, mediante donazione o semplicemente fornendo i soldi necessari al loro acquisto (donazione indiretta), come spesso avviene in pratica.
Il punto cruciale, in questo ambito, sta nell'obbligo dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie di imputare alla propria quota di eredità, al momento della futura successione, il valore di ciò che ha ricevuto nell'ambito del patto di famiglia. Come abbiamo visto, i beni assegnati ai legittimari che partecipano al patto di famiglia sono imputati alle loro quote di legittima secondo il valore che viene ad essi attribuito nel contratto. Ciò non è espressamente previsto nei confronti dell'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, ma è chiaro che nella futura successione non possiamo fare a meno di tenere conto di quanto essi hanno già ricevuto nell'ambito del patto di famiglia. In realtà, per l'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni sociali, questa regola discende dalla natura essenzialmente donativa del trasferimento (art. 564, secondo comma, del codice civile). L'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni societarie deve quindi imputare alla propria quota di eredità ciò che ha ricevuto nell'ambito del patto di famiglia, secondo il valore in esso determinato, al netto di quanto egli ha liquidato agli altri legittimari.

 

  IMPRENDITORE  
AZIENDA   ALTRI BENI
?   ?
FIGLIO ASSEGNATARIO   ALTRI FIGLI

 

Grazie al meccanismo dell'imputazione, anche le donazioni effettuate al di fuori del patto di famiglia possono essere di fatto sottratte all'azione di riduzione. Occorre però trovare caso per caso un difficile equilibrio tra le varie disposizioni, con il rischio che la soluzione individuata sia messa in discussione da un cambiamento imprevisto della situazione. Il legislatore, infatti, sembra volerci costringere a ragionare per compartimenti stagni: da una parte l'azienda, che può essere oggetto di successione anticipata mediante il patto di famiglia, con contestuale liquidazione degli altri legittimari; dall'altra parte il residuo patrimonio dell'imprenditore (beni immobili, denaro, etc.) che continua ad essere regolato dalle norme in tema di successione (o donazione), la cui sorte sarà dunque decisa solo alla morte dell'imprenditore. Purtroppo questo è l'esatto contrario di ciò che avviene nella realtà, dove il patrimonio da trasferire ai figli viene sempre considerato unitariamente.

Le tasse sul patto di famiglia

Il patto di famiglia può usufruire dell'esenzione dall'imposta di successione e donazione per i trasferimenti di aziende o rami di azienda, di quote sociali e di azioni a favore dei figli e degli altri discendenti (legge 27 dicembre 2006, n. 296).


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