Indice articoli

  1. Due diritti di prelazione
  2. Compravendita e altri contratti
  3. Chi ha diritto alla prelazione
  4. L'oggetto della prelazione
  5. La prelazione dell'affittuario
  6. La prelazione del confinante
  7. Quando il fondo è confinante

Due diritti di prelazione

Il diritto di prelazione agraria consiste nel diritto di essere preferiti ad altri per l’acquisto di un fondo agricolo, a parità di prezzo, quando il proprietario decide di venderlo. Questo diritto di prelazione è riconosciuto solo in presenza di determinate condizioni, soggettive e oggettive.
Nella definizione di prelazione agraria rientrano due distinti diritti di prelazione, soggetti a regole in parte diverse e rispondenti a differenti finalità. Da una parte c’è la prelazione riconosciuta all’affittuario del fondo offerto in vendita (art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590), dall’altra quella del proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita (art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817).
La prelazione agraria ha una grande rilevanza nella contrattazione per la compravendita dei fondi agricoli. Nella pratica, infatti, rappresenta il secondo aspetto che deve affrontare chi ha intenzione di acquistare un fondo agricolo (il primo è ovviamente quello delle agevolazioni fiscali).
La disciplina legislativa della prelazione agraria, però, è rimasta sostanzialmente ferma agli anni ’60 e ’70 e del secolo scorso, e non tiene conto della realtà dell’agricoltura italiana, che sta affrontando un passaggio generazionale e, grazie alla nuova disciplina dell’imprenditore agricolo professionale e delle società agricole, sta cercando di acquisire la struttura necessaria per rimanere competitiva in uno scenario economico sempre più globalizzato.
A complicare ulteriormente la situazione, le norme sulla prelazione agraria sono sempre state molto sintetiche, e hanno dato origine a una lunga serie di dubbi interpretativi.
Oggi la prelazione agraria è dunque disciplinata da poche norme dettate dal legislatore molto tempo fa, e da una serie di sentenze in cui i giudici, nell’arco di quasi mezzo secolo, hanno fornito le loro interpretazioni, spesso contrastanti, per colmare le lacune normative. Queste sentenze, specialmente quando sono arrivate a formare orientamenti consolidati, rappresentano una valida indicazione di come potrebbe essere deciso un caso analogo, ma ricordiamo che non sono vincolanti per i giudici nelle controversie future, quindi su molti aspetti sono possibili interpretazioni differenti.

Compravendita e altri contratti

Il diritto di prelazione è testualmente previsto per il trasferimento a titolo oneroso (o di concessione in enfiteusi) di fondi agricoli (art. 8, primo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590). L’ipotesi principale in cui si applica il diritto di prelazione è dunque la compravendita del fondo agricolo.
Il diritto di prelazione è invece espressamente escluso quando il fondo agricolo è oggetto di permuta, vendita forzata, liquidazione coatta, fallimento ed espropriazione per pubblica utilità (art. 8, secondo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590).
La giurisprudenza ha precisato che non è ammesso l’esercizio della prelazione in caso di permuta, quale che sia il bene permutato con il fondo agricolo (Cass. 3 novembre 1990, n. 10573; Cass. 19 luglio 1990, n. 7391; Cass. 16 agosto 1988, n. 4948; Cass. 16 giugno 1984, n. 3607; Cass. 13 febbraio 1985, n. 1211; Cass. 20 dicembre 1980, n. 6573; Cass. 21 novembre 1981, n. 6225; Cass. 28 aprile 1981, n. 2584), a meno che si di un bene fungibile, come per esempio titoli di Stato oppure titoli azionari o obbligazionari quotati in mercati regolamentati (Cass. 11 febbraio 1989, n. 863; Cass. 23 novembre 1985, n. 5829). La previsione di un conguaglio in denaro nella permuta non fa sorgere il diritto di prelazione agraria, purché il conguaglio sia destinato a pareggiare il valore dei beni permutati, e il suo importo non risulti superiore al valore del bene oggetto di permuta (Cass. 3 novembre 1990, n. 10573; Cass. 19 luglio 1990, n. 7391; Cass. 26 agosto 1982, n. 4729).
Il diritto di prelazione è escluso anche in caso di donazione, come pure negli altri casi di trasferimento a titolo gratuito privi dello spirito di liberalità, dato che la legge fa riferimento ai trasferimenti a titolo oneroso (art. 8, primo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590). Alla donazione è equiparata anche la vendita a prezzo simbolico o irrisorio, che integra una donazione indiretta (Cass. 15 maggio 2001, n. 6711; Cass. 18 luglio 1991, n.. 7969).
Non si può ipotizzare un diritto di prelazione neanche nell’ambito di una divisione.
Il diritto di prelazione non spetta neppure nel caso di conferimento del fondo agricolo in una società di qualsiasi genere (sia che esso avvenga in sede di costituzione, sia in occasione di una delibera di aumento del capitale sociale), dato che questo è equiparato alla permuta del terreno con un altro bene, quale è la partecipazione sociale (Cass. 8 giugno 1992, n. 7039; Cass. 1 agosto 1991, n. 8458; Cass. 20 agosto 1990, n. 8492). Infatti, mentre il prezzo in denaro può essere pagato da chiunque, in questa ipotesi il corrispettivo è infungibile.
Resta naturalmente fuori dal campo di applicazione della prelazione agraria la cessione delle quote di una società che sia proprietaria di terreni agricoli, poiché la cessione comporta il subingresso nella qualità di socio, non l’acquisto della proprietà del fondo agricolo, che resta in capo alla società (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1523; Cass. 17 febbraio 1984, n. 1190).
Secondo l’opinione prevalente, il diritto di prelazione agraria è escluso anche quando il trasferimento del terreno agricolo avviene nell’ambito di un accordo di transazione (cioè dell’accordo con cui le parti, facendosi reciproche concessioni che possono anche includere il trasferimento della proprietà di beni immobili, pongono fine a una lite tra di esse. La transazione, infatti, è normalmente caratterizzata dall’infungibilità delle prestazioni reciproche (Cass. 29 maggio 1984, n. 3283). E’ comunque consigliabile prestare particolare attenzione alle transazioni caratterizzate da un accordo che prevede il trasferimento del terreno agricolo a fronte del pagamento di un corrispettivo in denaro (pur se accompagnato dalla rinuncia alla lite), che si prestano a essere facilmente riqualificate come compravendite in sede giudiziale.
E’ soggetto al diritto di prelazione agraria il trasferimento del fondo agricolo quale corrispettivo della costituzione di una rendita vitalizia, ma non di un vitalizio alimentare, nel quale l’acquirente si obbliga a corrispondere, oltre a vitto, alloggio e quanto altro necessario, anche assistenza morale, che introduce un elemento di infungibilità nella prestazione (Cass. 18 dicembre 1986, n. 7679; Cass. 14 giugno 1982, n. 3625; Cass. 30 ottobre 1980, n. 5855).
La giurisprudenza ha ritenuto applicabile il diritto di prelazione agraria nel caso di vendita della nuda proprietà del fondo agricolo (Cass. 22 agosto 1990, n. 8561; Cass. 27 luglio 1973, n. 2204), o di una quota indivisa del fondo (Cass. 26 luglio 2001, n. 10218; Cass. 22 gennaio 1991, n. 591; Cass. 23 novembre 1985, n. 5829), anche se ovviamente in queste ipotesi è improbabile che il diritto di prelazione sia esercitato, dato che il diritto acquistato non consentirebbe la coltivazione del terreno, e l’acquisto non potrebbe godere delle agevolazioni fiscali. Ricordiamo però che in caso di vendita di una quota di comproprietà indivisa da parte di un componente della famiglia coltivatrice, gli altri componenti hanno diritto alla prelazione se sono coltivatori manuali o continuano l'esercizio dell'impresa familiare in comune (art. 8, terzo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590). In ogni caso, all’affittuario sono preferiti sempre, se coltivatori diretti, i coeredi del venditore (art. 8, dodicesimo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590).
Il diritto di prelazione agraria spetta infine nell’ipotesi di vendita all’asta da parte di un ente pubblico, pertanto l’avente diritto deve essere messo in condizione di acquistare il fondo con preferenza rispetto all’aggiudicatario (Cass. 12 ottobre 1982, n. 5264; Cass. 23 ottobre 1979, n. 5548), e nel caso di vendita con patto di riscatto (Cass. 3 giugno 1991, n. 6227).

Chi ha diritto alla prelazione

I due tipi di prelazione agraria, quella riconosciuta all’affittuario del fondo offerto in vendita (art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590), quella del proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita (art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817), sono accomunati dalla figura soggettiva che ne può beneficiare, il coltivatore diretto.
Ricordiamo infatti che non hanno mai diritto di prelazione agraria gli imprenditori agricoli professionali, che pure, in seguito alla riforma dell'impresa agricola, hanno ottenuto l’accesso a tutte le agevolazioni di carattere fiscale in ambito agricolo (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101).
La prelazione agraria rimane dunque strettamente riservata ai coltivatori diretti.

Il coltivatore diretto
La disciplina della prelazione agraria è centrata sulla figura del coltivatore diretto.
L’art. 31 della legge 26 maggio 1965, n. 590, stabilisce che al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria “sono considerati coltivatori diretti coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all'allevamento ed al governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l'allevamento ed il governo del bestiame”. Precisa inoltre che “Nel calcolo della forza lavorativa il lavoro della donna è equiparato a quello dell'uomo”.
Il lavoro proprio e dei familiari del coltivatore diretto era inteso in origine come lavoro essenzialmente manuale, e questo limitava fortemente la possibilità di crescita dimensionale dell’azienda agricola. Per quanto numerosi potessero essere i familiari, e anche dando per scontato che tutti si dedicassero, senza eccezioni, al lavoro manuale nei campi (come normalmente avveniva nel mondo agricolo preso a riferimento dal legislatore), l’azienda agricola a coltivazione diretta non poteva superare una certa dimensione, comunque piccola secondo gli standard attuali.
Nel corso degli anni, però, lo sviluppo nella meccanizzazione delle colture agricole ha consentito un notevole incremento della superficie di terreno coltivabile da un singolo soggetto, e un conseguente aumento dimensionale delle aziende agricole gestite dai coltivatori diretti.
La figura del coltivatore diretto che aveva presente il legislatore nel 1965 era sicuramente molto diversa da quella che troviamo oggi nelle nostre campagne, e molto diverso era anche lo scenario generale. Nel secondo dopoguerra, da una parte c’era il coltivatore diretto, dall’altra c’era il latifondo, la grande proprietà terriera lavorata da braccianti salariati, e in questo scenario l’attenzione del legislatore era dedicata al primo. Il coltivatore diretto era una specie protetta, da tutelare con ogni mezzo per assicurargli una possibilità di sopravvivenza contro un potere economico “forte”, che lo avrebbe altrimenti schiacciato. Dietro questa scelta, naturalmente, stava anche un ragionamento di opportunità politica.
Ai fini della prelazione agraria, dunque, il coltivatore diretto è chi si dedica direttamente e abitualmente alla coltivazione dei fondi e all'allevamento del bestiame, purché la forza lavoro dell'agricoltore e dei componenti del suo nucleo familiare che collaborano con lui nell'esercizio dell'attività non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per le normali necessità dell'azienda agricola.
La Corte di Cassazione è intervenuta ripetutamente per interpretare e precisare la definizione dettata dal legislatore.
Diverse sentenze hanno riconosciuto la qualifica di coltivatore diretto, al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, anche a chi coltiva il fondo in modo non professionale, purché stabilmente e abitualmente (quindi in modo non occasionale), e quindi anche a chi svolge un’altra attività lavorativa principale, da cui trae un reddito superiore a quello derivante dall’attività agricola (si veda per esempio Cass. 10 ottobre 2001, n. 12374; Cass. 23 gennaio 1995, n. 759; Cass. 31 gennaio 1986, n. 632; Cass. 15 gennaio 1982, n. 245; Cass. 7 marzo 1981, n. 1289). E’ stato considerato coltivatore diretto persino chi si dedica alla coltivazione del fondo per destinarne i frutti al consumo proprio, senza trarne alcun reddito, argomentando che la nozione di coltivatore diretto dettata dalla legge 26 maggio 1965, n. 590, non coincide con quella di piccolo imprenditore agricolo di cui all’art. 2083 del codice civile (Cass. 19 dicembre 1980, n. 6563).
Da ciò discende che, secondo la giurisprudenza, la qualifica di coltivatore diretto, al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, non richiede l’iscrizione al registro delle imprese, né l’iscrizione in albi o elenchi, e trattandosi di una circostanza di fatto la relativa prova può essere fornita con ogni mezzo, anche mediante prova testimoniale e per presunzioni (si veda per esempio Cass. 27 settembre 2011, n. 19748; Cass. 19 gennaio 2006, n. 1020; Cass. 21 febbraio 2002, n. 2505; Cass. 1 settembre 1982, n. 4769). Al fine del riconoscimento del diritto di prelazione, dunque, non è necessaria neppure l’iscrizione all’INPS nella gestione previdenziale e assistenziali dei coltivatori diretti, che se presente è considerata solo come elemento indiziario, trattandosi di un dato puramente formale.
La giurisprudenza ha anche precisato anche che non si applica l'art. 2, secondo comma, della nlegge 29 novembre 1962 n. 1680 (secondo cui l'esistenza delle condizioni previste per il riconoscimento della qualità di coltivatore diretto deve essere attestata dall'ispettorato provinciale agrario, sentito il competente ufficio delle imposte dirette), dettato ad altri fini (Cass. 1 settembre 1982, n. 4769; Cass. 24 maggio 1984, n. 3194).
Secondo la giurisprudenza, il diritto di prelazione spetta anche al coltivatore diretto che si avvale di contoterzisti per le operazioni più importanti e complesse nell’ambito della coltivazione del fondo, trattandosi di pratica ordinaria e diffusa (Cass. 26 ottobre 1998, n. 10626).
La Corte di Cassazione ha riconosciuto il diritto di prelazione anche al coltivatore diretto di età avanzata che ha dimostrato di svolgere effettivamente attività di direzione dei lavori di coltivazione del fondo (Cass. 25 maggio 2007, n. 12249, riferita a un caso in cui il coltivatore diretto aveva 86 anni).
Ricordiamo infine che secondo la giurisprudenza non spetta il diritto di prelazione a chi svolge soltanto l’attività di allevamento del bestiame, dovendo questa attività essere connessa a quella di coltivazione del fondo (si veda, per esempio, Cass. 27 dicembre 1991, n. 13927).
Dall’interpretazione giurisprudenziale emerge dunque una figura di coltivatore diretto diversa da quella prevista al fine delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei terreni agricoli (piccola proprietà contadina), per le quali è indispensabile l’iscrizione nella gestione previdenziale e assistenziale agricola dell’INPS (art. 2, comma 4-bis, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194, inserito in sede di conversione dalla legge 26 febbraio 2010 n. 25 e successivamente modificato dall'art. 1, comma 41, della legge 13 dicembre 2010, n. 220).

La società di coltivazione diretta
La riforma dell'impresa agricola (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101) ha esteso il diritto di prelazione per l'acquisto dei terreni condotti in affitto o confinanti alle società agricole di persone (società semplici, s.n.c., s.a.s.) in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Rimane dunque un collegamento con la figura del coltivatore diretto, a cui è tradizionalmente riservato il diritto di prelazione. Ciò che conta è il numero dei soci, indipendentemente dalla loro quota di partecipazione, dato che il legislatore non ha fatto riferimento alla metà del capitale sociale.
Ricordiamo che per essere considerata società agricola la società di persone deve avere come oggetto esclusivo l'esercizio dell'agricoltura e delle attività connesse, (individuate dall'art. 2135 del codice civile), la ragione sociale deve contenere l'indicazione “società agricola”, e almeno uno dei soci deve essere in possesso della qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale, mentre gli altri soci possono anche non essere agricoltori, indipendentemente dal loro numero. Nelle società in accomandita semplice (s.a.s.) deve essere coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale almeno un socio accomandatario.
Il diritto di prelazione, dunque, non spetta a tutte le società agricole di persone, ma solo a quelle in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Sono escluse dal diritto di prelazione le società agricole di persone in cui meno della metà dei soci è coltivatore diretto, indipendentemente dalla presenza di imprenditori agricoli professionali, e sono sempre escluse le società di capitali, anche in presenza di soci coltivatori diretti.

L’imprenditore agricolo professionale
La riforma dell'impresa agricola ha introdotto la nuova figura dell’imprenditore agricolo professionale (i.a.p.), a cui ha esteso tutte le agevolazioni tributarie in materia di imposte indirette e creditizie in precedenza riservate ai coltivatori diretti (d.lgs. 29 marzo 2004, n. 99, modificato dal d.lgs. 27 maggio 2005, n. 101).
All’imprenditore agricolo professionale, però, non è stato esteso il diritto di prelazione, che è rimasto prerogativa esclusiva del coltivatore diretto, singolo o associato.
Ricordiamo anche che, secondo l’interpretazione assolutamente prevalente, i beneficiari del diritto di prelazione agraria non sono stati ampliati neppure dall’art. 7 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, che prevede i criteri di preferenza da seguire in caso di esercizio del diritto di prelazione da parte di più coltivatori diretti confinanti. Questa norma, infatti, prevede che “nel caso di più soggetti confinanti, si intendono, quali criteri preferenziali, nell'ordine, la presenza come partecipi nelle rispettive imprese di coltivatori diretti e imprenditori agricoli a titolo principale di età compresa tra i 18 e i 40 anni o in cooperative di conduzione associata dei terreni, il numero di essi nonché il possesso da parte degli stessi di conoscenze e competenze adeguate ai sensi dell'articolo 8 del regolamento (CE) n. 1257/99 del Consiglio, del 17 maggio 1999.”. Ciò non significa che il legislatore abbia voluto estendere il diritto di prelazione agli “imprenditori agricoli a titolo principale” (ora imprenditori agricoli professionali), essendosi limitato a dettare i criteri da utilizzare per dirimere il conflitto tra più confinanti aventi diritto alla prelazione in base alle previsioni della legge n. 590 del 1965 e della legge n. 817 del 1971.

L'oggetto della prelazione

Oggetto della prelazione agraria è sempre e soltanto un “fondo rustico” o fondo agricolo (art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590). La legge non fornisce ulteriori specificazioni, ma per fondo agricolo si intende comunemente il terreno destinato all'agricoltura, che può essere comprensivo anche di uno o più fabbricati rurali, cioè fabbricati destinati esclusivamente al servizio dell'attività agricola svolta sul fondo.
La destinazione agricola risulta normalmente dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato dal Comune. Questo certificato deve essere allegato all’atto di compravendita, nella sua versione più aggiornata (non deve essere stato rilasciato da più di un anno, e la parte venditrice deve dichiarare davanti al notaio che non sono intervenute modifiche negli strumenti urbanistici dopo il suo rilascio, quindi esso rappresenta fedelmente la situazione urbanistica del terreno). In questo modo la parte acquirente è sempre in grado di verificare agevolmente la destinazione urbanistica del terreno che sta acquistando. I terreni a destinazione agricola sono normalmente indicati nel certificato di destinazione urbanistica come “zona agricola”, con eventuale aggiunta di ulteriori specificazioni, oppure come “verde agricolo”.
Sono espressamente esclusi dalla prelazione agraria i terreni edificabili di qualsiasi genere (residenziali, artigianali, industriali, commerciali). La legge precisa che occorre fare riferimento anche agli strumenti urbanistici non ancora vigenti, poiché non si è ritenuto compatibile con le finalità della prelazione agraria l'acquisto di un terreno destinato a perdere, in breve tempo, la destinazione agricola (art. 8, secondo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590). La norma, per escludere il diritto di prelazione, fa riferimento ai terreni destinati ad utilizzazione edilizia “in base a piani regolatori, anche se non ancora approvati". La Corte di Cassazione è intervenuta spesso per chiarire questo aspetto, e ha precisato anzitutto che si deve tenere conto di qualsiasi strumento urbanistico di pianificazione del territorio, proveniente dal Comune o da altro ente territoriale (si veda, per esempio, Cass. 24 marzo 2003, n. 4274; Cass. 19 gennaio 2000, n. 534; Cass. 23 giugno 1999, n. 6401; Cass. 20 giugno 1998, n. 6161; Cass. 14 gennaio 1997, n. 306; Cass. 2 aprile 1996, n. 3028). La finalità della norma, infatti, è quella di escludere il diritto di prelazione agraria in tutti i casi in cui il terreno è destinato a perdere la sua attuale destinazione agricola per acquisire la natura di bene edificabile, o comunque di area utilizzata per scopi diversi da quelli agricoli. Il diritto di prelazione è dunque escluso quando è già iniziato un procedimento amministrativo finalizzato al mutamento della destinazione urbanistica del terreno, purché questo procedimento sia già stato formalizzato in atti conoscibili dai terzi. Non è sufficiente, dunque, la richiesta di variante urbanistica presentata al Comune dal proprietario del fondo agricolo, che è un semplice atto privato sul quale la pubblica amministrazione non si è ancora pronunciata (Cass. 21 gennaio 2000, n. 673).
Non deve essere in ogni caso considerato edificabile il terreno in cui gli strumenti urbanistici consentono esclusivamente la realizzazione di costruzioni strumentali all’attività agricola, neppure se è già stato rilasciato il relativo titolo abilitativo (Cass. 21 novembre 1990, n. 11241).
Non escludono il diritto di prelazione agraria la destinazione paesistica, che risulta compatibile con l’esercizio dell’attività agricola sul terreno (Cass. 20 dicembre 1990, n. 12090; Cass. 28 aprile 1990, n. 3592), né, naturalmente, la destinazione agrituristica, che rientra espressamente nell’ambito delle attività connesse con l’attività agricola (Cass. 27 novembre 1991, n. 12684).
La giurisprudenza più recente, superando il precedente orientamento, esclude invece dalla prelazione agraria i terreni che rientrano nella destinazione a “verde pubblico”, cioè destinati alla formazione di parchi pubblici e in genere di spazi verdi per l'utilizzo collettivo della popolazione urbana (Cass. 6 marzo 2006, n. 4797; Cass. 29 marzo 2003, n. 4842; Cass. 28 giugno 2011, n. 8851; Cass. 16 novembre 1989, n. 4878) e a “verde privato”, cioè destinati alla realizzazione di giardini, parchi e spazi verdi di uso privato (Cass. 16 maggio 2003, n. 7641). Secondo la Corte di Cassazione, infatti, il legislatore ha inteso escludere dalla prelazione tutti i terreni la cui destinazione seppure non edificatoria, sia da considerare comunque “urbana” (“verde pubblico”, “verde privato” e le cosiddette “zone di rispetto”, come per esempio le aree di rispetto cimiteriale) in contrapposizione alla destinazione “agricola” (Cass. 31 marzo 2010, n. 7796; Cass. 28 aprile 2006, n. 9963; Cass. 6 marzo 2006, n. 4797).
Ricordiamo infine che se il terreno offerto in vendita ha solo in parte destinazione agricola, il diritto di prelazione spetta soltanto sulla parte agricola (Cass. 24 novembre 1986, n. 6910; Cass. 12 aprile 2000, n. 4659; Cass. 6 marzo 2006, n. 4797).
E’ pertanto opportuno che già nel contratto preliminare il prezzo complessivo sia scorporato nelle sue due componenti, quella relativa alla porzione agricola e quella relativa alla porzione edificabile o comunque a destinazione diversa, al fine di consentire l’esercizio della prelazione (in caso contrario, la prelazione può comunque essere esercitata sulla porzione agricola, e la determinazione del prezzo sarà rimessa al giudice).
Una sentenza della Corte di Cassazione ha però consentito di estendere l’esercizio della prelazione all’intero terreno oggetto della compravendita, nel quale la zona agricola era ampiamente prevalente su quella avente destinazione diversa, considerando sia il valore sia la superficie (Cass. 6 agosto 2002, n. 11757).
La presenza di uno o più fabbricati sul fondo agricolo offerto in vendita non esclude il diritto di prelazione. Dobbiamo però distinguere due ipotesi. Se si tratta di fabbricati rurali, cioè fabbricati destinati esclusivamente al servizio dell'attività agricola svolta sul fondo, la prelazione può essere esercitata sull’intero fondo agricolo, comprensivo dei fabbricati (Cass. 10 settembre 1986, n. 5538). In caso contrario, la prelazione può essere esercitata solo sul terreno agricolo, e non sui fabbricati. Anche in questo caso, come abbiamo visto, è opportuno che già nel contratto preliminare il prezzo complessivo sia scorporato nelle sue due componenti (terreno agricolo e fabbricati non strumentali) per consentire l’esercizio della prelazione sui soli terreni agricoli, e in mancanza la prelazione può essere esercitata sul solo terreno agricolo, e la determinazione del prezzo sarà rimessa al giudice.
In passato veniva escluso il diritto di prelazione agraria per i fabbricati che, pur strumentali all'attività agricola, fossero stati dichiarati al catasto fabbricati, ritenendo che in tale ipotesi la costruzione perdesse il suo connotato di fabbricato rurale. Questo elemento formale è stato però smentito dalla successiva evoluzione della normativa catastale, che come è noto oggi impone l'iscrizione al catasto fabbricati per tutte le costruzioni, compresi i fabbricati rurali, che non per questo, ovviamente, perdono i requisiti di ruralità, se presenti. Oggi, pertanto, il discrimine non può certo essere l'iscrizione in catasto fabbricati, che sarà sempre presente, ma piuttosto l'effettiva ruralità del fabbricato, che potrà essere compreso nel fondo oggetto di prelazione agraria soltanto ne effettivamente destinato al servizio dell'attività agricola, e dunque in presenza di tutti i requisiti previsti dalla legge per il riconoscimento della ruralità (art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e modificato dall'art. 42-bis del d.l. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni dalla legge 29 novembre 2007, n. 222).
La vendita del solo fabbricato rurale normalmente non è soggetta a prelazione agraria, dato che questo può assumere rilevanza, sotto il profilo della prelazione, esclusivamente quale pertinenza del terreno agricolo, al cui servizio è destinato. La Corte di Cassazione ha però eccezionalmente riconosciuto applicabile il diritto di prelazione agraria a un fabbricato rurale che, pur essendo venduto separatamente, rimaneva adibito al servizio dell’impresa agricola, e in particolare ha riconosciuto il diritto di prelazione all’affittuario del fondo che aveva già acquistato i terreni, in caso di successiva vendita dei fabbricati (Cass. 15 maggio 2009, n. 11314; Cass. 2 aprile 1992, n. 4011).
La giurisprudenza ha precisato che il diritto di prelazione esiste indipendentemente dalla dimensione del fondo agricolo (Cass. 2 febbraio 1995, n. 1244; Cass. 2 marzo 2000, n. 2327), quindi sono soggetti alla prelazione agraria sia i terreni di piccole dimensioni, sia quelli di grande estensione (ferma restando la limitazione dimensionale derivante dalla capacità lavorativa della famiglia del coltivatore diretto).
Inoltre, è indifferente il tipo di coltivazione in atto (Cass. 25 marzo 2003, n. 4374; Cass. 2 febbraio 1995, n.1244), anzi è soggetto a prelazione agraria anche il fondo attualmente non coltivato (incolto), perché ciò che conta è soltanto la possibilità di una futura coltivazione da parte dell'acquirente (Cass. 2 febbraio 1995, n. 1244). Anche il terreno boschivo è soggetto a prelazione agraria, dato che il bosco è considerato una forma di coltivazione agricola (Cass. 17 ottobre 1984, n. 5242).
La giurisprudenza ha invece escluso il diritto di prelazione in caso di affitto di terreno adibito a pascolo o in presenza di un contratto di vendita di erbe, o pascipascolo (Cass. 2 marzo 2007, n. 4958).

La prelazione dell'affittuario

L’art. 8, primo comma, della legge 26 maggio 1965, n. 590, prevede che “In caso di trasferimento a titolo oneroso o di concessione in enfiteusi di fondi concessi in affitto a coltivatori diretti, a mezzadria, a colonia parziaria, o a compartecipazione, esclusa quella stagionale, l'affittuario, il mezzadro, il colono o il compartecipante, a parità di condizioni, ha diritto di prelazione purché coltivi il fondo stesso da almeno due anni, non abbia venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille, salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria, ed il fondo per il quale intende esercitare la prelazione in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi non superi il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.”.
Il diritto di prelazione dell’affittuario ha lo scopo di consentire la riunione in un unico soggetto della proprietà e della conduzione del fondo agricolo. Il legislatore ha ritenuto vantaggioso, per lo sviluppo dell’economia agricola, che il soggetto che conduce il fondo (purché abbia la qualifica di coltivatore diretto) abbia la possibilità di acquistarne la proprietà con precedenza rispetto ad altri soggetti, nel momento in cui il proprietario decide di venderlo. La coincidenza tra proprietà e conduzione del fondo agricolo risponde all’interesse generale, perché il proprietario è senz’altro portato, più dell’affittuario, ad apportare miglioramenti al fondo, rendendolo più produttivo anche mediante investimenti a lungo termine.
Il diritto di prelazione spetta al coltivatore diretto solo se ricorrono queste condizioni:
- coltiva il fondo in qualità di affittuario da almeno due anni;
- non ha venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria);
- il fondo per il quale intende esercitare la prelazione, in aggiunta ad altri eventualmente posseduti in proprietà od enfiteusi, non supera il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.

La prelazione del confinante

L’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 dispone che il diritto di prelazione previsto dal primo comma dell'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, “spetta anche (…) al coltivatore diretto proprietario di terreni confinanti con fondi offerti in vendita, purché sugli stessi non siano insediati mezzadri, coloni, affittuari, compartecipanti od enfiteuti coltivatori diretti”.
Questa norma ha ampliato le fattispecie di prelazione agraria, concedendola anche a favore del proprietario coltivatore diretto di fondo confinante con quello offerto in vendita, ma solo in mancanza di un affittuario coltivatore diretto. La finalità prevalente, dunque, rimane quella di consentire la riunione in un unico soggetto della proprietà e della conduzione del fondo agricolo.
Ad essa si aggiunge però quella di favorire la creazione di aziende agricole di maggiore estensione, attraverso l’accorpamento dei fondi limitrofi, sempre in presenza della qualifica di coltivatore diretto.
Questa tendenza all’accorpamento avrebbe dovuto essere agevolata, nelle intenzioni del legislatore, fino al raggiungimento della massima dimensione aziendale coltivabile con la forza lavoro della famiglia diretto-coltivatrice. All’epoca questa dimensione era ancora piuttosto piccola, mentre oggi è cresciuta notevolmente, grazie alla meccanizzazione. Peraltro, è cresciuta di pari passo anche la dimensione richiesta alle aziende agricole per essere competitive sul mercato.
Perché sia riconosciuto il diritto di prelazione, l’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817 richiede che:
- il proprietario del fondo confinante lo coltivi direttamente;
- sul fondo offerto in vendita non sia insediato un affittuario coltivatore diretto. Devono inoltre essere presenti le condizioni previste dall’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, pertanto:
- il confinante deve coltivare il fondo da almeno due anni;
- il confinante non deve aver venduto, nel biennio precedente, altri fondi rustici di imponibile fondiario superiore a lire mille (salvo il caso di cessione a scopo di ricomposizione fondiaria);
- il fondo per il quale il confinante intende esercitare la prelazione, in aggiunta a tutti gli altri da lui posseduti in proprietà od enfiteusi, non deve superare il triplo della superficie corrispondente alla capacità lavorativa della sua famiglia.
Il diritto di prelazione riconosciuto al proprietario del fondo confinante con quello offerto in vendita è quello che si più si presta a suscitare dubbi nell’applicazione pratica, generando conflitti tra il potenziale acquirente e il confinante che intende esercitare il diritto di prelazione. Sotto questo profilo, infatti, la posizione dell’affittuario coltivatore diretto è molto più semplice, non solo perché è sempre altamente probabile che siano presenti tutti i requisiti richiesti dalla legge (e dalla giurisprudenza) perché sussista il diritto di prelazione, ma anche perché è assai difficile che qualcuno sia interessato ad acquistare un fondo agricolo in presenza di un affittuario coltivatore diretto, senza aver prima raggiunto un accordo con questo, dato che egli, anche se non intendesse esercitare il diritto di prelazione per l’acquisto, continuerebbe a coltivare il fondo in virtù del contratto di affitto. In tale situazione, l’acquirente sarebbe penalizzato anche sotto il profilo fiscale, non potendo richiedere le agevolazioni concesse esclusivamente a chi coltiva direttamente il terreno acquistato. E’ molto probabile, dunque, che l’acquirente di un fondo condotto in affitto sia lo stesso affittuario, oppure che il terzo acquirente si accordi con l’affittuario per il rilascio del terreno, contestualmente o subito dopo l’atto di acquisto (eventualmente al termine dell’annata agraria).
Al contrario, la presenza di coltivatori diretti confinanti con il fondo offerto in vendita è quasi una costante nella pratica, e il raggiungimento di un accordo tra essi e il potenziale acquirente, pur se auspicabile, non è affatto scontato, anzi sono frequenti le situazioni di conflitto. Risulta dunque essenziale la verifica della presenza o meno dei presupposti per la sussistenza del diritto di prelazione in capo all’affittuario, sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo.

Quando il fondo è confinante

Come abbiamo visto, la verifica circa la presenza o meno dei presupposti per la sussistenza del diritto di prelazione in capo all’affittuario è un aspetto essenziale nella gestione della compravendita di un fondo agricolo. La presenza di coltivatori diretti confinanti con il fondo offerto in vendita è quasi una costante nella pratica, e le situazioni di conflitto sono molto frequenti.
Uno degli aspetti essenziali è pertanto la verifica della qualità di confinante. La legge fa riferimento ai “terreni confinanti con fondi offerti in vendita” (art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817). Ma quando un terreno si considera “confinante” con un altro? La risposta a questa domanda, apparentemente semplice, ha impegnato i giudici di merito e di legittimità per oltre quarant’anni. Le sentenze, anche da parte della Corte di Cassazione, sono numerose, e da esse possiamo trarre molte indicazioni utili a risolvere i più disparati casi che si presentano ogni giorno nella pratica, pur tenendo sempre presente che nel nostro sistema giuridico i precedenti giurisprudenziali, per quanto autorevoli, non sono vincolanti per i giudici nelle controversie future, quindi non si possono escludere, a priori, interpretazioni differenti.
La giurisprudenza prevalente considera due fondi come “confinanti” esclusivamente quando tra di essi esiste una contiguità fisica e materiale, cioè hanno una comune linea di demarcazione, escludendo dunque il diritto di prelazione nel caso della semplice contiguità funzionale, cioè quando due fondi, pur se fisicamente separati, potrebbero essere utilmente accorpati in un’unica azienda (si veda, per esempio, Cass. 26 marzo 2003, n. 4486; Cass. 17 luglio 2002, n. 10337; Cass. 9 novembre 1994, n. 9319).
Nessun dubbio che siano confinanti due fondi che si toccano su un lato, cioè hanno una linea di confine in comune. Maggiori dubbi ha invece sollevato l’ipotesi in cui i due fondi si tocchino solo in uno spigolo, cioè, da un punto di vista strettamente geometrico, abbiano un comune un solo punto, anziché una linea. In questo caso la giurisprudenza ha ritenuto che i fondi non fossero confinanti (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1106).
E’ piuttosto frequente che lungo il confine tra fondi agricoli di proprietà diverse sia presente una strada, di solito destinata al solo passaggio dei mezzi agricoli, ma a volte divenuta, con il passare del tempo, di uso pubblico, o addirittura una strada pubblica a tutti gli effetti. In molte realtà agricole, inoltre, lungo i confini del fondi esistono fossi, canali o rogge destinate all’irrigazione dei fondi stessi. In tutti questi casi non è così facile stabilire quando un fondo è “confinante” con un altro, e quando invece la presenza di un elemento estraneo, quale la strada o la roggia, impedisce di considerare i fondi come fisicamente contigui.

Strada pubblica e ferrovia
La presenza di una strada pubblica (comunale, provinciale, statale, o addirittura un’autostrada) o di una ferrovia lungo il confine tra due fondi esclude sempre il diritto di prelazione, secondo la giurisprudenza prevalente, poiché fa venir meno la contiguità materiale tra i fondi (Cass. 26 novembre 2007, n. 24622; Cass. 20 dicembre 2005, n. 28235; Cass. 17 luglio 2002, n. 10377; Cass. 6 agosto 2002, n. 11779; Cass. 9 febbraio 1994, n. 1331; Cass. 4 dicembre 1982, n. 6644).

Strada interpoderale
La situazione è più complicata quando lungo il confine tra due fondi corre una strada privata.
Nelle zone agricole sono ampiamente presenti le cosiddette “strade interpoderali”, chiamate anche “carrarecce”, “carreggiate” o “tratturi”, denominazioni che nelle diverse zone geografiche indicano le stradelle private (normalmente in terra, battuta dal passaggio stesso dei mezzi agricoli, o al massimo consolidata con il riporto di ghiaia, sassi o frammenti di varia origine), create dagli agricoltori per le proprie necessità di coltivazione e trasporto dei prodotti agricoli al momento del raccolto. A volte queste stradelle sono interne al fondo, e quindi appartengono a un unico proprietario, che è il solo legittimato ad utilizzarle (salva la presenza di una servitù di passaggio a favore di terzi), anche se create in prossimità del confine. La presenza di una strada creata dal proprietario del fondo destinando a tale scopo una porzione del terreno di sua proprietà non esclude la contiguità materiale con il fondo limitrofo, e quindi non esclude il diritto di prelazione agraria.
Lo stesso può dirsi per le strade interpoderali realizzate lungo il confine tra più fondi, in seguito ll’accordo tra i proprietari frontisti, ciascuno dei quali ha fornito l’area necessaria alla realizzazione di una metà della strada, pertanto il confine tra i due fondi coincide con la mezzeria della strada (sulla quale può essere presente una servitù di passaggio a favore di terzi).
Anche in questo caso c’è contiguità materiale, e dunque si ritiene prevalentemente che sussista il diritto di prelazione agraria (Cass. 29 settembre 1995, n. 10272; Cass. 3 settembre 1985, n. 4590).

Strada vicinale
Diversa è la situazione della cosiddetta “strada vicinale”, cioè quella strada che, pur essendo originariamente di proprietà privata (di solito dei proprietari frontisti), nel corso del tempo è stata assoggettata al diritto di transito pubblico a favore della collettività. Ciò avviene, normalmente, quando la strada, anziché essere destinata esclusivamente al servizio di uno o più fondi agricoli, è diventata anche una via di accesso a una piccola frazione (gruppo di case) o cascina. Le strade vicinali soggette a uso pubblico sono normalmente iscritte nell’apposito elenco tenuto dal Comune, e spesso sono riportate sulle mappe catastali con l’indicazione di strada vicinale.
Secondo la giurisprudenza, i fondi agricoli presenti ai lati della strada vicinale non possono essere considerati contigui, e pertanto è escluso il diritto di prelazione (Cass. 26 novembre 2007, n. 24622; Cass. 14 gennaio 1998, n. 265).
Normalmente per strada vicinale si intende esclusivamente quella soggetta a pubblico transito. In alcuni casi, tuttavia, è stato escluso il diritto di prelazione anche per i fondi separati da una cosiddetta “strada vicinale non aperta al pubblico transito”, cioè da una strada interpoderale formata dai frontisti mettendo in comune la proprietà di varie strisce di terreno. In questo caso, secondo una parte della giurisprudenza, la strada, pur rimanendo privata, non è di proprietà dei frontisti per singole porzioni, ma rappresenta un bene autonomo, di proprietà comune a diversi soggetti, e quindi esclude la contiguità materiale dei fondi (Cass. 27 settembre 2011, n. 19747; Cass. 26 novembre 2007, n. 24622; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1191; Cass. 17 luglio 2022, n. 10377). Questo tipo di strada interpoderale si avvicina alle caratteristiche della “strada vicinale”, pur non essendo aperta al pubblico transito. Si tratta, però, di una situazione piuttosto difficile da dimostrare nella pratica, specialmente se la strada non è segnata sulle mappe catastali, quindi ciascun caso deve essere analizzato facendo riferimento alla specifica realtà locale, ed è comunque opportuno tenere presente che, in mancanza di una qualificazione ufficiale della strada come “vicinale”, è molto probabile che sia riconosciuto al confinante il diritto di prelazione (Cass. 8 gennaio 1996, n. 58).

Corsi d’acqua
Secondo la giurisprudenza, manca la contiguità materiale tra i fondi, e dunque è escluso il diritto di prelazione, quando questi sono separati da un fiume, da un torrente o comunque da un corso d’acqua naturale, oppure da un canale o roggia demaniale, indipendentemente dal fatto che esso sia incluso nell’elenco delle acque pubbliche, che non ha carattere costitutivo ma solo dichiarativo (Cass. 14 marzo 2008, n. 7052; Cass. 20 febbraio 2001, n. 2471; Cass. 23 giugno 1989, n. 2983; Cass. 10 febbraio 1987, n. 1433).

Fossi e canali di scolo
Si considerano invece confinanti i fondi separati da un semplice fosso o da un canale di scolo delle acque. Questo può appartenere a uno dei due fondi oppure essere comune alle due proprietà (art. 897 c.c.), che si estendono fino alla mezzeria del fosso o canale. In questo caso, dunque, sussiste il diritto di prelazione (Cass. 26 marzo 2003, n. 4486; Cass. 17 dicembre 1991, n. 13558).

Striscia di terreno
La contiguità materiale tra i fondi è ovviamente esclusa dalla presenza di una striscia di terreno di proprietà di terzi, per quanto piccola. Non dobbiamo però pensare che il venditore possa eludere il diritto di prelazione del confinante frazionando e riservandosi la proprietà di una piccola porzione di terreno in prossimità del confine. In questo caso, infatti, se il terreno frazionato, per la sua forma e la sua dimensione, non risulta idoneo a una coltivazione separata, è stato comunque riconosciuto il diritto di prelazione del confinante (Cass. 9 aprile 2003, n. 5573; Cass. 13 agosto 1997, n. 7553; Cass. 27 luglio 1990, n. 7579; Cass. 17 ottobre 1989, n. 4152). La prelazione non spetta, invece, se i fondi sono separati da un appezzamento di terreno che ha una propria autonomia strutturale e funzionale (Cass. 25 luglio 1990, n. 7503).


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